Il nuovo articolo 560 c.p.c. e il diritto del debitore e dei suoi familiari conviventi di continuare ad abitare l’immobile fino all’emissione del decreto di trasferimento e le (nuove) modalità di attuazione della custodia dei beni immobili pignorati.
La modifica più evidente riguarda la condizione del debitore che abiti il bene sottoposto a pignoramento (con il suo nucleo familiare) e che, salvo il caso di violazioni di disposizioni di legge o di obblighi di collaborazione, potrà continuare ad occupare la propria abitazione fino al decreto di trasferimento, con esclusione di qualsiasi automatismo tra nomina del custode terzo e liberazione del bene e senza necessità di alcuna espressa autorizzazione in tal senso. Dalla sequenza dell’articolato è possibile, altresì, evincere la legittimità della continuazione da parte del debitore dell’occupazione dei beni pignorati (anche diversi dall’abitazione) senza necessità di apposita espressa autorizzazione, fino alla formale comunicazione di un ordine di liberazione. A seguito dell’eliminazione dell’espressa autorizzazione giudiziale per l’attività di gestione e amministrazione (tra cui la locazione dei beni pignorati) nonché per l’esercizio delle azioni previste dalla legge occorrenti per conseguire la disponibilità dei beni, si potrà riproporre l’utilità della classica distinzione tra attività di ordinaria o di straordinaria amministrazione, ma resta comunque opportuno che sia il giudice a dare precise istruzioni ai propri ausiliari/custodi circa la loro legittimazione a determinati atti ed azioni. Ulteriore elemento di novità potrebbe essere rinvenuto nella (nuova) collocazione del divieto al debitore di stipulare una locazione senza autorizzazione del giudice. La formula ripete apparentemente quella del secondo comma dell’articolato previgente, ma per la sequenza dei commi sembra finire per disciplinare qualcosa di molto diverso, ipotizzando una locazione da parte del debitore autorizzata dal giudice, ovvero efficace dentro e fuori il perimetro del procedimento esecutivo. Infine, ma non ultima per importanza, la questione interpretativa relativa alla natura ed efficacia dell’ordine di liberazione endoprocedimentale, alle sue modalità attuative e ai mezzi per contestarlo. In assenza di qualsiasi riferimento testuale, l’interpretazione che sembra maggiormente rispettosa del principio di tassatività dei titoli esecutivi, del principio di economia ed efficienza del processo e della sua ragionevole durata, sembra essere quella secondo cui l’ordine di 2 liberazione di cui al nuovo articolo 560 è un provvedimento sommario e semplificato, esecutivo per natura, in quanto ordinatorio e funzionale alla migliore vendita possibile, attuabile secondo le modalità deformalizzate cui sono ispirati anche i provvedimenti cautelari, sotto la direzione del giudice dell’esecuzione, impugnabile ex art. 617 dalle parti del processo e da chi detiene il bene senza un titolo opponibile alla procedura, ma privo di decisorietà e definitività nei confronti di chi ha un titolo opponibile, che potrà comunque sempre agire per l’accertamento del suo diritto in via principale ordinaria successiva, oltre che se lo preferisca ( e lo si ammetta) a mezzo di un’opposizione cognitiva. Del tutto irrisolta, invece, al momento la questione (di grande risvolto pratico) relativa alla ultrattività della legittimazione del custode ad attuare l’ordine di liberazione (anche dopo il decreto di trasferimento) nell’interesse dell’aggiudicatario (con o senza oneri a suo carico). Questione che riguarda qualsiasi ordine di liberazione la cui esecuzione non si sia esaurita prima dell’emissione del decreto di trasferimento e la cui soluzione, in un senso piuttosto che nell’altro, potrebbe legittimare l’ulteriore dubbio se sia anche ammessa una liberazione a cura del custode nel caso di bene abitato dal debitore (quindi successiva al decreto di trasferimento e concorrente con l’ordinaria azione di rilascio a favore dell’acquirente).
Consiglio Nazionale del Notariato